#unmondoaparte
Il film di Riccardo Milani, con Antonio Albanese e Virginia Raffaele, tratta questioni per nulla isolate, con le quali devono fare i conti centinaia di piccoli Comuni sparsi nell’entroterra della penisola italiana: denatalità, spopolamento, chiusura delle scuole.
Prendiamola a ridere
La spregiudicatezza dei protagonisti nell’approccio ai “profughi” potrebbe anche essere giustificata dallo stile comico proprio del genere che, mi piace pensare, vuole ironizzare sull’utilizzo strumentale dell’accoglienza, anche se, in effetti, purtroppo, molti la pensano in questo modo … soprattutto chi si inventa operatore sociale da un giorno all’altro fiutando il business.
Anche sul piano didattico, il disappunto del maestro è palese difronte alla difficoltà di gestione della pluriclasse.
Inoltre, se la soluzione si fonda su un’emergenza, è ovvio che tenderà soltanto a far slittare il problema, senza risolverlo alla radice. Così avremo una scuola che si salva per un altro anno e poi … si vedrà?
L’Alto Tammaro
Del resto, nella realtà, la situazione è diversa poiché, in zone interne come l’Alto Tammaro, la questione è generalizzata e il mondo a parte non si identifica con un solo Comune, ma con un’area circoscritta che vede la presenza di plessi scolastici in ogni frazione, contrada e campagna, ovviamente dismessi o in fase di chiusura. Davvero si pensa di risolvere con gli immigrati? E come? Alimentando la rivalità tra i piccoli Comuni e andando a caccia di profughi?
La mancanza di servizi
Tra le righe, intanto, dalla storia raccontata sul grande schermo emerge quello che, forse, è il vero problema delle aree interne, ossia la mancanza di servizi. La famiglia si convince a trasferirsi perché gli vengono offerti una serie di incentivi come l’affitto agevolato, la “superfibra”, l’accesso alle piattaforme streaming. Mentre sembrerebbe scontato ciò che nell’entroterra sannita non lo è: la “corriera” quotidiana e la manutenzione delle strade!
Morale della favola
È possibile immaginare strategie di ripresa per le aree interne, ma forse, dall’osservazione partecipata emerge una verità diversa rispetto alle riflessioni dal retrogusto “intelletualoide”. Che lo sviluppo possa arrivare dall’agricoltura è solo un’illusione. Lo sa bene l’ultima generazione di adulti che ha ereditato le terre e vede i propri figli disinteressati e proiettati altrove.
La soluzione, allora, forse non è nel primo, ma nel terzo settore che, per quanto ci riguarda, nella logica dell’impresa sociale, non si limita a produrre servizi, ma è aperto all’accoglienza di chi è libero di partire o di restare.
Purtroppo è vero, l’opportunità è dettata dallo stato di fragilità della società, dove tutti sognano un mondo a parte!
A. G.