Siamo all’Oasi del WWF del Lago di Campolattaro, in compagnia del prof. Antonio Croce, docente di Scienze naturali all’Istituto d’Istruzione Superiore “Ugo Foscolo” di Teano (CE), botanico, studioso delle piante e degli ecosistemi, per andare alla scoperta delle erbe spontanee dell’Oasi e scoprirne i benefici.

Prima della passeggiata, ci siamo soffermati con lui in una piacevole e istruttiva chiacchierata.

Il professore ha spiegato che l’Oasi del WWF di Campolattaro, tra i suoi punti di forza, può vantare un’ottima consistenza numerica di specie vegetali, cosa non scontata e di forte interesse, soprattutto se si pensa che “un punto caldo di biodiversità – come l’Oasi del WWF – può avere un ruolo benefico per l’agricoltura”. Infatti, spiega, “la monocultura ha risvolti negativi, poiché, come si è visto dagli studi, le malattie incidono lì. Dove, invece, c’è diversificazione, c’è antagonismo naturale … la biodiversità difende da patogeni”.

“Bisogna imparare a gestire l’Oasi – continua il botanico – poiché ha un’importante ruolo come presidio sul territorio, rispetto alla conservazione della biodiversità e la conseguente messa in atto della conservazione”.

Il ruolo dei volontari del WWF, ma ci sentiamo di aggiungere, anche di ogni cittadino della zona che vuole abitare il territorio in maniera responsabile e difenderlo dai pericoli dell’inquinamento, è – per il professore – “quello di conservare questo habitat di grande interesse, punto caldo di biodiversità, che raduna anche diverse specie di uccelli migratori, che hanno un ruolo benefico per l’agricoltura locale”.

Arriva poi l’invito di avere un’attenzione particolare alle praterie che “vanno conservate con gestione oculata, perché hanno il doppio di specie rispetto al bosco. Piante anche rare, come le orchidee spontanee (circa 20 specie nell’area dell’Oasi), indicatori della qualità dell’habitat”.

Antonio Croce ha poi insistito sul senso di responsabilità da parte di tutti, sottolineando come l’inquinamento e la mancanza di rispetto per l’ambiente non sono colpa solo delle disposizioni che arrivano dall’alto. “Ognuno deve fare la sua parte – afferma – poiché non siamo liberi di responsabilità solo perché c’è qualcuno che inquina più di noi”.

Da botanico e docente di Scienze naturali il prof. Croce incalza su questi aspetti parlando di plant blindness, la ‘cecità alle piante’. Il termine, proposto nel 1999 dai botanici J.H. Wandersee e E.E. Schussler con la pubblicazione Preventing Plant Blindness, vuole intendere la tendenza ad ignorare le specie vegetali del proprio habitat, negando l’importanza, per il benessere dell’ecosistema in cui viviamo, di curare le piante.

L’attenzione si sposta, poi, sulla nutrizione. Secondo il prof. Croce, “mangiare erbe spontanee rientra nella dieta mediterranea. Le qualità coltivate, infatti, danno meno benefici. Ricordiamo che il mondo selvatico è stato la prima fonte di cibo e di medicina”.

Il professore, però, mette anche in guardia rispetto alla tossicità di alcune erbe spontanee. “Sono tante le erbe spontanee che si possono mangiare, ma ci vuole conoscenza perché alcune sono tossiche”.

Da persona impegnata nella formazione dei giovani, Antonio Croce pensa alle scuole invitandole a incentivare “il contatto con la natura, poiché i giovani di oggi sono avvezzi all’ambiente” C’è bisogno, dice il professore, di “coltivare l’attesa”, di “educare ai tempi”, a discapito del “tutto subito”, per cogliere la bontà della “scoperta dopo l’attesa”.

Una prospettiva, questa della cura dell’ambiente, che può avere dei risvolti positivi anche in prospettiva lavorativa, per lo sviluppo delle aree interne e in risposta alla fuga dei giovani dai territori dell’entroterra. Per Antonio Croce, “i giovani devono trovare cose che hanno bisogno di essere valorizzate … un prodotto locale da trasformare e proporre sul mercato (per esempio gli oli essenziali). Importante è il marketing e la conoscenza delle normative”.

Si può immaginare che i giovani investano in questo settore, ma, giustamente, l’invito del professore è a studiare, per poi aprirsi alla progettualità, senza escludere la possibilità di farsi aiutare. “I percorsi sono tanti – conclude – e lo studio è importante per il punto di vista diverso, perché ci fa vedere cose che l’altro non vede”.

Questo e tanto altro ispira l’Oasi del WWF di Campolattaro ad un professore venuto da fuori territorio, estraneo a perverse logiche ‘interne’. Siamo a fine aprile, in una domenica primaverile, dove al plant blindness sembra aggiungersi il territorial blindness, la cecità per il proprio territorio, la mancanza d’amore per la propria terra, l’indifferenza per un luogo che, a Campolattaro e nell’Alto Tammaro potrebbe fare maggiormente la differenza come sito d’interesse e di sviluppo, ma che, purtroppo, a causa di una forma di bias cognitivo diffusa, è ignorato dai locali e amato degli estranei.

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